LA DEFINIZIONE PIÙ RECENTE DI MALNUTRIZIONE È QUELLA DELL’ORGANIZZAZIONE MONDIALE DELLA SANITÀ (OMS) NEL 1987: “UNO STATO DI SQUILIBRIO, A LIVELLO CELLULARE, FRA IL RIFORNIMENTO DI NUTRIENTI E DI ENERGIA, TROPPO SCARSO O ECCESSIVO, E IL FABBISOGNO DEL CORPO PER ASSICURARE IL MANTENIMENTO, LE FUNZIONI, LA CRESCITA E LA RIPRODUZIONE”.
IL TERMINE COMPRENDE PERCIÒ SIA I DANNI DA DEFICIENZA ALIMENTARE, TIPICI DEI PAESI IN VIA DI SVILUPPO, SIA QUELLI DA ALIMENTAZIONE ECCEDENTE, PIÙ FREQUENTI NEGLI AMBIENTI INDUSTRIALIZZATI.
L’equilibrio tra l’assunzione dei nutrienti calorico-proteici e la spesa energetica garantisce non solo la stabilità tra massa grassa
e massa magra di un individuo, ma è fondamentale per il mantenimento dello stato di salute.
In un uomo adulto del peso di circa 70 kg, il 16% del peso è dovuto a proteine (cioè circa
11 kg). Un’elevata percentuale è contenuta nei muscoli (43%), seguiti dalla cute (15%) e dal sangue (16%). Metà del contenuto proteico è rappresentata da solo quattro tipi di proteine: collagene, emoglobina, miosina e actina. Da solo il collagene rappresenta il 25% del totale. Le proteine esistono nell’organismo in uno stato dinamico, perché sono costantemente coinvolte in processi di sintesi e di degradazione. Ogni proteina possiede una sua funzione specifica, che può essere sia strutturale, di protezione, intesa come immunità, enzimatica, di trasporto o di comunicazione cellulare.
La carenza proteica può manifestarsi nell’organismo in due modi:
• Come deplezione proteica somatica, nella quale la perdita è a carico soprattutto dei muscoli;
• Come deplezione viscerale, nella quale la perdita è sostenuta dal fegato, dal pancreas e dall’intestino; in situazioni avanzate sono interessati anche cuore e cervello. Quest’ultima è una manifestazione meno comune.
La perdita dell’equilibrio nutrizionale può portare all’instaurarsi in tempi più o meno brevi di una sindrome di malnutrizione proteico energetica (Protein Energy Malnutrition, PEM).
Nelle persone a rischio, in particolare nella popolazione ospedalizzata, un idoneo ed efficace programma nutrizionale dovrebbe prevedere come base di partenza una valutazione dello stato nutrizionale e delle esigenze clinico-metaboliche. Senza l’uso di screening nutrizionali molti pazienti malnutriti sfuggono all’attenzione. Secondo studi condotti anche in Italia, la prevalenza della PEM negli istituti che ospitano anziani va dal 23 all’85%, quella della popolazione ospedaliera dal 29 al 40% dei soggetti affetti da malattie croniche.
Caratteristica di tutte le forme di PEM è la carenza di substrati energetici e proteici necessari per l’attività dei meccanismi di difesa immunitari. Stati infiammatori e processi di riparazione tessutale hanno bisogno di quantità elevate di energia.
Nei muscoli la sintesi proteica si riduce, mentre la degradazione può essere incrementata, con il risultato di una perdita netta di proteine. Gli aminoacidi di origine muscolare vengono indirizzati alla sintesi proteica nel fegato e nel sistema immunitario.
Nel fegato il tipo di proteine sintetizzate viene modificato, con riduzione della formazione delle proteine fisiologiche di secrezione (albumi-
na, transferrina, proteina legante il retinolo) e aumento di quelle della fase acuta (proteina C reattiva, alfa-1-glicoproteina acida, alfa-2-macroglobulina, ecc.).
Tra le conseguenze cliniche della PEM sono state osservate: ritardo nella guarigione delle ferite chirurgiche, deficit della risposta immunitaria con aumento della suscettibilità alle infezioni, aumento di frequenza delle complicanze, aumento di mortalità post-operatoria.
Non ci sono ancora criteri universalmente accettati per definire la gravità della malnutrizione. Una diminuzione maggiore del 10% del peso corporeo abituale, soprattutto se la velocità con cui diminuisce supera il 3-6% al mese, è sicuramente un buon indice di malnutrizione. Alcune semplici valutazioni possono essere utili in fase di screening: misure antropometriche, BMI, plicometria, capacità muscolare, la velocità del cammino e le capacità motorie di base.
Con l’uso di questi parametri, il riconoscimento della malnutrizione avviene comunque in una condizione avanzata.
Un’altra causa di PEM sono i disturbi del comportamento alimentare, che comprendono un insieme di patologie caratterizzate da alterazioni di tipo psicologico e di tipo organico, classificate come anoressia nervosa e bulimia nervosa con le loro varianti.
Il fenomeno è presente prevalentemente nel mondo occidentale industrializzato.
L’utilizzo di farmaci, come ad esempio gli inibitori di pompa protonica (PPI), la cottura non adeguata dei cibi, una non corretta masticazione, frequente soprattutto con la senescenza o correlata a problemi dentari, ma anche in chi mangia frettolosamente, inadatti abbinamenti alimentari che impediscono la corretta digestione dei nutrienti, creano malnutrizione.
La denutrizione, quanto più essa è precoce, secondo recenti studi scientifici, aumenta il rischio di obesità in età avanzata. Un alterato metabolismo invece porta a infiammazione cronica e disfunzione intestinale, mentre l’energia in eccesso e l’assunzione di macronutrienti è spesso coincidente con carenze di micronutrienti in soggetti in sovrappeso.
Tutto ciò, come ci dice Bourke nella sua review del 2016, può essere sinonimo di una disfunzione a livello immunitario.
Una recente review scientifica ha identificato 245 studi pubblicati tra il 1957 e il 2014 che descrivono alcuni parametri del sistema immunitario nei bambini denutriti (età 0 5 anni). Emerge chiaramente come la malnutrizione comprometta tanto il sistema immunitario innato quanto quello adattativo.
Viene logico pensare a un’ampia area d’intervento, quello sul soggetto sano, come fondamento di prevenzione, per regolare all’origine lo stato di salute complessivo.
Sostenere la corretta sintesi proteica permette all’organismo di svolgere autonomamente le regolazioni di base offrendo così un nuovo punto di vista nella promozione della salute.
La misura della concentrazione di metaboliti attraverso i test di laboratorio viene utilizzata per valutare lo stato di nutrizione di un organismo o la sua risposta al trattamento nutrizionale: si possono ottenere informazioni sul bilancio proteicoenergetico, bilancio idrico, stato vitaminico e minerale, funzione di organi.
In quest’ottica, già all’inizio del Novecento fu chiara l’importanza degli amminoacidi e quindi delle proteine nella alimentazione. Infatti, nel 1946 Rose sosteneva: “La necessità quotidiana degli amminoacidi essenziali”; nello stesso anno Block e Mitchell affermavano che: “Il valore biologico di una proteina dipende dai suoi amminoacidi costituenti”, mettendo in evidenza l’importanza degli amminoacidi essenziali.
Gli aminoacidi (o amminoacidi) sono l’unità strutturale primaria delle proteine. Possiamo quindi immaginare gli aminoacidi come mattoncini che, uniti da un collante chiamato legame peptidico, formano una lunga sequenza che dà origine ad una proteina.
Le proteine sono i muri portanti della struttura corporea e nel contempo svolgono una vasta gamma di funzioni all’interno degli organismi viventi.
Le proteine non possono venire assorbite senza essere scisse, all’interno dello stomaco e del duodeno questi legami vengono rotti ed i singoli aminoacidi giungono sino all’intestino tenue, dove vengono assorbiti come tali ed utilizzati dall’organismo.
Esistono aminoacidi essenziali e non essenziali. Sono definiti essenziali quegli aminoacidi che l’organismo umano non riesce a sintetizzare in quantità sufficiente a far fronte ai propri bisogni. Per l’adulto sono nove e più precisamente: fenilalanina, isoleucina, lisina, leucina, metionina, treonina, triptofano e valina e istidina.
Sono considerati aminoacidi semiessenziali la cisteina e la tirosina, in quanto l’organismo li può sintetizzare a partire da metionina e fenilalanina. Affinché la sintesi proteica possa concludersi positivamente, la presenza relativa di aminoacidi essenziali dev’essere ottimale. Infatti, se anche solo uno di questi risultasse carente, assumerebbe il ruolo di aminoacido limitante rendendo impossibile la sintesi proteica.
E’ assolutamente indispensabile l’utilizzo di una formula bilanciata di aminoacidi essenziali per poter sostenere le funzioni vitali. Sicuramente, in virtù delle ultime evidenze scientifiche, uno dei maggiori campi di utilizzo di un pool amminoacidico, per quanto possibile, tarato sulle esigenze umane, è la gestione e il supporto al paziente sarcopenico.
Alla luce dell’invecchiamento della popolazione in rapida espansione, la sarcopenia e i disturbi correlati stanno emergendo come un grave problema di salute pubblica del XXI sec.
Un’altra conseguenza della sarcopenia dell’invecchiamento è un cambiamento deleterio nella composizione corporea che si traduce in molte alterazioni metaboliche, che portano alla sindrome metabolica e ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari.
E’ una patologia che si correla a una perdita numerica delle fibre muscolari con atrofia delle fibre rimanenti. Interessa quasi esclusivamente le fibre di tipo II che sviluppano forza.
La sarcopenia ha un esordio attorno alla quarta decade di vita, con perdita di massa muscolare del 3-5% entro i 50 anni, successivamente si correla una perdita del 1-2% ogni anno. In molti soggetti il patrimonio muscolare viene dimezzato entro i 75 anni di età.
Nel soggetto anziano risulta estremamente utile controllare la massa muscolare poiché le conseguenze della sarcopenia risultano gravi: aumenta infatti il rischio di cadute e di fratture.
Nei soggetti affetti da sarcopenia il rischio di caduta è quattro volte più alto rispetto a quelli con muscolatura adeguata.
L’utilizzo di una dietoterapia personalizzata è essenziale per evitare carenze e successive deplezioni muscolari. La gestione dell’introito proteico risulta quindi di primaria importanza.
Nuove evidenze hanno mostrato come gli individui più anziani necessitino di un intake proteico maggiore rispetto ai giovani, con lo scopo di supportare la buona salute, promuovere il recupero a seguito di patologie e mantenere la funzionalità corporea. Inoltre, hanno bisogno di più proteine per spegnere l’infiammazione e le condizioni cataboliche associate a patologie croniche e/o acute che spesso si correlano con l’invecchiamento. Supplementi a base di Protei- ne o di amminoacidi essenziali (AAE) possono ridurre la perdita muscolare da inattività, ma andrebbero inseriti in un approccio integrato che include:
•Nutrizione
•Esercizio
•Intervento farmacologico (se indicato)
Due sono i livelli di intervento: il primo riconducibile ad un miglioramento dello stile di vita, il secondo mirato alla gestione di una fase di “crisi”.
Con il primo ci limitiamo a consigliare un consumo di 25 30 g di proteine ad alto valore biologico ad ogni pasto ed un esercizio fisico abituale in prossimità temporale con l’assunzione di proteine.
Con il secondo livello dobbiamo reagire in modo tempestivo ed aggressivo per contrastare la perdita di massa e funzione muscolare dovuta a crisi catabolica e come strategia di base ciò dovrebbe includere un supporto nutrizionale con AAE o proteine ed andrebbe associata terapia di esercizio fisico.
Ciò porta inevitabilmente a ridefinire il fabbisogno proteico nell’anziano e nelle patologie catabolizzanti, con l’unico scopo di fornire i substrati necessari per contrastare la perdita di massa magra e favorire l’anabolismo in associazione ad attività fisica e per contrastare il declino metabolico (deficit mitocondriale) dell’anziano o del malato cronico.
Ciò che fa partire la catena di montaggio è l’aumentata disponibilità ceIlulare di AA essenziali, indipendentemente dalla concentrazione plasmatica di AAE di partenza.
Per sostenere le sintesi proteiche nel tempo devono essere presenti tutti gli AA essenziali, non bastano i soli ramificati, la sola leucina o l’idrossimetilbutirrato, meglio conosciuto come HMB. Gli AA essenziali devono rispettare concentrazioni specifiche, ossia specifici rapporti stechiometrici, tarati sulle esigenze umane.
Deve essere somministrato un quantitativo sufficiente a generare un delta di concentrazione plasmatico, ossia almeno 4g di AAE.
Sono stati riportati risultati positivi per l’integrazione di EAA cronica negli anziani anche per quanto riguarda l’aumento della massa magra, la forza delle gambe, la misura dell’handgrip e nelle capacità deambulatorie.
Il ruolo del farmacista, del biologo, del medico stesso, trovano in questo punto di vista, maggiore sicurezza prescrittiva ed è logico pensare a un maggior successo terapeutico evinto nella risposta del paziente.
L’inquadramento funzionale del soggetto, uniti a una breve scheda anamnestica di facile compilazione, in cui evidentemente conoscere l’utilizzo di farmaci, esempio PPI, la qualità dei pasti, intesi nella loro modalità di consumo e nei tempi della masticazione, aprono a una prima valutazione.
La valutazione dell’assorbimento intestinale infatti, diventa un aspetto altrettanto importante. E’ facile intuire come l’equilibrio proteico sia alla base dell’intera salute e come l’utilizzo di una miscela amminoacidica sicura e tarata sulle esigenze umane diventi strumento estremamente prezioso.
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