Intervista alla dottoressa Pucci Romano Specialista in Dermatologia, Presidente Skineco, associazione scientifica di EcoDermatologia www.skineco.org
Al farmacista del terzo millennio si richiedono conoscenze interdisciplinari per rispondere, con appropriatezza e serietà, ai tanti dubbi dei clienti sempre più disorientati dalle suggestioni del marketing farmaceutico.
Uno dei settori più “attenzionati” dall’industria (e di conseguenza dalla pubblicità) è la dermocosmesi. In molti ritengono che creme e lozioni rappresentino una leva per aumentare il fatturato in farmacia. In vero, diagnosi e prescrizioni arrivano in gran parte da medici specialisti, ma quante volte al farmacista capita di dover fornire un consiglio al cliente?
Di norma, in farmacia si trovano due o tre linee dermocosmetiche settate per fascia di prezzo (alta, media, bassa) ma senza quasi mai pensare alla patologia o all’esigenza delle diverse pelli.
Giriamo queste osservazioni a una delle più note esperte del settore.
Dottoressa Romano, cosa ne pensa dell’opportunità per il farmacista di saper riconoscere i vari tipi di pelle, distinguendone le esigenze per le varie fasce di età, al fine di meglio orientare il cliente nell’acquisto di un prodotto?
Innanzitutto una precisazione d’obbligo. Quando si parla di cosmesi, abbiamo a che fare con prodotti non catalogati come farmaci, che non hanno una mission di guarigione e che sono accompagnati da promesse, spesso sottovalutate come impegno, tipo “ti farò andare via le rughe, la cellulite…”.
Il cosmetico svolge funzioni multiple: di accudimento, di detergenza, di normalizzazione. In questo senso il farmacista ha un ruolo molto importante, in quanto, a differenza del profumiere, viene visto dal consumatore come un addetto ai lavori; ha una sua autorevolezza avendo un background culturale di rilievo; e poi non dimentichiamo che il farmacista ha anche competenza nella preparazione della galenica.
Per quanto riguarda la lettura dell’INCI, cosa dobbiamo escludere con sicurezza?
La lettura dell’INCI rimane il punto debole nel campo della cosmesi, perché noi non siamo stati educati ad occuparci di questi importanti aspetti informativi. Nel momento in cui invece si acquisisce conoscenza su ciò che contiene un determinato prodotto, la competenza diventa dettagliata. L’INCI è fondamentale, si dovrebbero fare dei percorsi di formazione specifici sull’argomento.
Sappiamo solo dei parabeni, del nichel, manca un’adeguata conoscenza su altre sostanze come i petrolati…
Questa conoscenza non c’è perché non è mai stata considerata importante. Le aziende ci danno ciò che vogliono, ci propagandano un principio attivo senza dirci niente sui veicoli, sugli stabilizzanti, conservanti. Il cosmetico viene presentato in base alla sua mission. C’è da fare parecchio al riguardo. Conoscere i vari componenti è importante perché è fondamentale sapere l’impatto che hanno sull’organo pelle; la conoscenza da chimica deve diventare medica, clinica, dermatologica. I vari campi si incrociano perché il denominatore comune della cosmesi è la pelle, l’organo sui cui impatta questa categoria di prodotti.
Per capire se un componente va bene sulla mia pelle devo avere competenza dermatologica. Quando parliamo dell’ecodermocompatibilità, un concetto formulato e introdotto per la prima volta da SKINECO ,coniughiamo due aspetti. Il primo, quello dell’ecologia, si riferisce alla rispondenza del componente a criteri di compatibilità ambientale, per esempio la sua biodegradabilità. Ma, dato che voglio avere anche la garanzia che quel prodotto mi faccia bene, che mantenga quella famosa promessa, devo verificare e confermare la dermocompatibilità .E la dermocompatibilità si verifica con appositi test. Inoltre, un prodotto Ecodermocompatibile, può essere anche la risultante di una sintesi chimica, la chimica buona, verde, quella che sintetizza sostanza affini alla pelle umana.
Come orientarsi nelle diverse forme, e cioè olio, mousse, crema? Anche questa scelta può disorientare il consumatore. Volendo mettere in mano al farmacista dei prodotti sicuri, quando conviene utilizzare una forma piuttosto che un’altra?
Questa è una giungla! Creme profumate, non profumate, emulsioni fluide, emulsioni light… questo è il tipico discorso che riguarda il marketing. E’ vero che possiamo avere l’esigenza di una emulsione più leggera per il viso mentre per il corpo possiamo usare un prodotto con una quota lipidica più ampia, ma in linea di massima tutto ciò è frutto del marketing. La differenza è nei vari componenti che aggregano il cosmetico: se faccio una emulsione o una mousse o una lozione, cambia il veicolo, aggiungo maggiormente o in quantità minore, la componente lipidica o l’acqua ;anche in questo caso è quindi importante la sorveglianza di queste composizioni: l’INCI corto è una grande garanzia, quando si iniziano a vedere 20/30 righe c’è sicuramente tanta roba e il rischio che non sia proprio “buona” aumenta.
Tutti giorni entriamo in contatto con circa 600 sostanze, anche il prodotto più banale come un bagnoschiuma o la crema da barba per l’uomo contengono tantissime sostanze. Vogliamo dare dignità a queste sostanze oppure vogliamo pensare che la nostra pelle, l’organo più grande del nostro corpo, non lo meriti ?
Oggi il consiglio vira molto sul solare. Da dermatologia mai scendere sotto una 15? Lei cosa ne pensa in proposito?
I solari sono a tutt’oggi i prodotti con il più alto contenuto di disturbatori endocrini. come octotrilene e cinammati che sono gli stabilizzanti dei filtri chimici, necessari altrimenti il fotone eccita il componente e lo rende instabile. Non è facile sostituirli, ma non è impossibile! Secondo il mio personale pensiero che ho sviluppato in base alle mie esperienze, è importante evitare il Fotoprotettore nella quotidianità; è una cattiveria che si fa alla pelle. Con questo sistema di proteggersi a tutti i costi abbiamo sicuramente creato difficoltà nella sintesi della Vitamina D che è prodotta appunto dalla pelle con la mediazione della luce solare. In inverno le uniche zone che esponiamo sono le mani e il viso, quindi se il viso lo trucchiamo e mettiamo i guanti sulle mani, ecco che smettiamo di produrla. La fotoprotezione è importante perché la biochimica del corpo umano si compie al buio, quindi le reazioni, all’interno del nostro corpo, si compiono bene senza luce solare. La longevità di vari animaletti che vivono nel buio più assoluto (alcuni tipi di salamandre, o di ratti, o di pipistrelli) sembra legata proprio all’assenza della luce. La pelle ha il compito di tenere il resto del corpo protetto dal danno ossidativo delle radiazioni solari e lo fa bene, in quanto siamo dotati di un riparatore, un riparatore, il DNA repair, un enzima che ripara il danno a carico delle cellule bersagliate. Infatti, a seconda che si tratti di raggi A o B e dello strato di pelle colpito, derma o epidermide, si crea una sorta di sovvertimento del DNA, il cui equilibrio comunque viene poi ristabilito da un enzima. Il sole, però, non va demonizzato: la luce è infatti fonte di vita e rinnovamento, migliora il metabolismo, favorisce crescita sia nel mondo animale che in quello vegetale. Precisato che abbiamo i mezzi per contrastare l’effetto ossidativo indotto dalle radiazioni solari, il vero problema è che dobbiamo abituare la pelle all’esposizione; ci vuole gradualità espositiva. E l’impatto con l’overdose a creare il problema alla pelle, ben venga quindi un po’ di avvelenamento chimico. A mio parere è il male minore, cioè si riduce l’impatto ossidativo attraverso il filtro.
Il filtro, però, non è totale: si continua a dargli questo aggettivo in modo assolutamente incongruo. Quando si parla di filtro 100, si fa pubblicità ingannevole perché chi si espone con questo filtro pensa di essere tranquillamente al riparo. Per potere avere una corretta fotoesposizone filtrata non bisogna andare sotto i 30. Il fattore numerico, per convenzione, indica solo il tempo di esposizione. Tra 30 e 50 ci sono 20 minuti in più, quindi i primi giorni per una fotoprotezione corretta devo usare almeno il 50, magari una volta che si è prodotta la melanina, il vero filtro solare, allora posso anche smettere di mettere il fattore di protezione. La capacità di produrre melanina, varia da individuo a individuo, da razza a razza e caratterizza quello che si chiama Fototipo, ovvero la possibilità che un essere umano ha di prendere il sole con maggiore o minor danno.
Infine, per quanto riguarda le imperfezioni che si creano anche nelle ragazze più giovani, per esempio nella zona perioculare si creano imperfezioni, allergie al nichel, dermatiti…
Quanta demonizzazione sul Nichel! Sicuramente è una sostanza a rischio di sensibilizzazione, anche perché non esiste un prodotto nichel free al 100% (è presente nella catena produttiva dei contenitori dei cosmetici attraverso i quali si possono contaminare). La quantità può risultare solo ridotta al massimo possibile. Ho fatto uno studio personale sulla percentuale di allergie vere e proprie ai cosmetici dei miei pazienti ed è molto bassa. La possibilità di sviluppare una dermatite da contatto è molto meno presente di quanto si creda, anche la letteratura scientifica lo conferma. E’ invece in aumento un altro problema, cioè la sensibilizzazione: una pelle sensibile, delicata, che mal sopporta la cosmesi routinaria e che proprio per questo è sottoposta a continui cambiamenti di prodotti nella speranza di trovare quello giusto. L’aumento della pelle sensibile è legato a due fattori: l’inquinamento ambientale e la contaminazione cosmetica; ci sono troppi componenti non affini alla pelle. Ecco ritornare prepotente e determinante la necessità di EcoDermocompatibilità. E ricordiamo che tutto quanto fa male alla pelle, si dimostra “cattivo” anche per l’ambiente. E viceversa.
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