In farmacia, ogni giorno, sempre più donne ci dicono che sono costrette a ricorrere
a cure farmacologiche, spesso dispendiose, mirate a favorire il concepimento, celando quindi una possibile infertilità. Dott.ssa Valentino, è davvero quello dell’infertilità un “fenomeno” in via di sviluppo?
L’Italia è tra i paesi con il più basso indice di natalità. Sono 90 milioni, infatti, le coppie nel mondo che sperimentano problemi di fertilità, 25 milioni solo in Europa. Negli ultimi anni il tasso di fertilità è calato ovunque, anche in Africa, dove è crollato dal 5,1 (2000-2005) al 4,7 (2010-2015). In Italia, ogni anno, nascono sempre meno bambini e dati relativi al 2017 confermano questa tendenza. Le statistiche mostrano che l’Italia detiene, purtroppo, un record negativo rispetto alla media UE tanto per il numero di bambini nati (464,000 nel 2017), quanto per il tasso di fertilità, pari a 1,34, mente negli altri Paesi Europei il valore medio è di 1.60.
Il registro dell’Istituto Superiore di Sanità, reso obbligatorio dalla Legge 40/2014, per esempio, riporta che sono stati dati alla luce circa 100.000 bambini con tecniche di fecondazione assistita nel 2017, questo sottolinea che circa 1⁄4 dei bambini nati in Italia sono nati grazie a questa tecnologia.
Probabilmente è da attribuire ad una tendenza sempre maggiore a cercare la prima gravidanza in eta’ più avanzata, spesso però la credenza comune è che la fecondazione assistita possa dare risposta ai problemi riproduttivi su base biologica cioè legati all’invecchiamento.
L’età media della donna in Italia al primo parto è di 31.8 anni, un fattore quindi che contribuisce sulla fertilità e diminuisce le possibilità di rimanere incinta.
Tutto questo dipende da un cambiamento mediatico, ma soprattutto sociale: si pensa che tutto sia possibile sempre, l’eterna giovinezza anche nella riproduzione. Purtroppo, però, biologicamente il nostro corpo non è programmato così. Per tale motivo soprattutto l’infertilità è una patologia sociale sempre più diffusa.
Secondo i dati OMS, in Italia l’infertilità riguarda il 15% delle coppie che non sono riuscite a concepire dopo almeno 12 mesi di rapporti regolari non protetti. A cosa dobbiamo principalmente questi numeri?
Si attualmente le statistiche dell’OMS riferiscono 15-20% di coppie infertili nel mondo. Innanzitutto occorre distinguere tra le cause che colpiscono le donne nel 39.2% dei casi, le patologie che colpiscono gli uomini nel 25,8% dei casi, l’infertilità di coppia (18,2%) e quella idiopatica (16,2%), cioè non spiegabile con le attuali tecniche di diagnosi.
Uno dei principali fattori che contribuiscono all’infertilità femminile, come accennavo prima, riguarda l’eta’ alla quale si cerca la prima gravi- danza. Dal punto di vista fisiologico, il periodo migliore per avere un figlio è infatti tra i 20 e i 25 anni, passata questa fase la fertilità comincia gradualmente a ridursi, subendo un considerevole calo dopo i 35 anni e riducendosi moltissimo dopo i 40. Questo dipende dalla nostra biologia, le donne nascono con un numero programmato di ovociti e con l’avanzare dell’età questa riserva si riduce. Inoltre, con il passare dell’età, gli ovociti invecchiano presentando più anomalie cromosomiche. Diversa è la considerazione dell’età per quanto riguarda l’utero: solo alcuni studi dimostrano una correlazione tra “età dell’utero” e rischio di aborto spontaneo.
Una delle cause più comuni d’infertilità, a cui tutti ormai sono sensibilizzati, è l’endometriosi. Consiste nella presenza di tessuto endometriale in sede ectopica, a livello pelvico (ovaie, salpingi, legamenti utero-sacrali, setto retto vaginale) o nel miometrio (adenomiosi). Questa patologia, oltre a causare danno organico meccanico, causa anche una infiammazione cronica generalizzata a livello pelvico tale da non garantire il corretto funzionamento degli organi genitali
ai fini procreativi. In Italia, si calcola che circa 3 milioni di donne soffrano di endometriosi e circa 30-40% di esse abbiano problemi di infertilità. Altra causa, spesso comune alla coppia più che alla sola donna, sono le malattie sessualmente trasmissibili purtroppo ancora troppo sottovalutate e causa di più del 25% delle cause di infertilità in coppie giovani al di sotto dei 30 anni Anche il fumo causa infertilità. Le fumatrici hanno tassi di infertilità più alti come gli uomini fumatori, il fumo è da solo causa del 13% dell’infertilità di coppia in Italia.
Le cause sono da attribuire alle sostanze tossiche (nicotina, cadmio e benzopirene, soprattutto) che vanno a finire nel liquido follicolare e nelle cellule, gli ovociti, interferendo con il normale processo maturativo degli stessi.
Le cause endocrine di infertilità sono molteplici, la più nota è la sindrome dell’ovaio policistico, con cui spesso anche voi farmacisti vi confrontate. Questa sindrome provoca seri problemi con l’ovulazione, i cicli si verificano senza produzione di ovociti e le mestruazioni sono irregolari o del tutto assenti. Altro aspetto che voi spesso incontrate nel quotidiano approccio e counselling all’utente, sono i problemi di peso.
Sia l’obesità che l’eccessiva magrezza possono influenzare la capacità procreativa di un individuo. In questo caso la condizione può essere reversibile, nel senso che se si recupera il peso forma anche la fertilità migliora.
E’ quindi presente una forte componente ambientale, dettata dalle abitudini e dallo stile di vita. Può quindi l’alimentazione giocare un ruolo? Recenti studi hanno evidenziato come una dieta in stile mediterraneo possa aumentare i tassi di fertilità.
Si giustissimo, le cause dell’infertilità oggi non sono solo sociali, quali l’aumento degli anni scolari, il lavoro e la carriera, lo scarso supporto dello Stato alla genitorialità, ma sono anche cause ambientali.
Consideriamo che anche se noi attuassimo uno stile di vita corretto con adeguate ore di riposo notturno, adeguata alimentazione e attività fisica moderata, come consigliata dall’OMS, comunque viviamo in una mondo in cui gli interferenti ambientali sono impattanti in maniera determinante.
Tutti noi quotidianamente ascoltiamo notizie riguardanti gli interferenti endocrini, ma fondamentale è pensare come agiscono sulla fertilità e quindi combatterli quotidianamente con sostanze ossidanti.
Recenti studi hanno dimostrato che una maggiore aderenza delle donne a una dieta in stile mediterraneo, tradizionalmente basata sul consumo regolare di frutta e verdura ricca di antiossidanti e fibre, omega-3 sotto forma di pesce grasso, cereali integrali e MUFA da oli vegetali, può aumentare i tassi di fertilità riducendo il rischio di obesità, ipertensione, insulinoresistenza e diabete e inoltre è stata associata a circa il 70% di rischio inferiore di disturbi ovulatori.
Esistono poi alcuni nutrienti che, se supplementati nella maniera corretta, possono essere degli importanti coadiuvanti al raggiungimento del concepimento. Mi riferisco ad esempio ai corretti apporti di MUFA, folati, potassio e fibre.
Secondo quanto rileva uno studio presentato alla European Society of Human Reproduction and Embriology (ESHRE) ad Instanbul dai ricercatori della Harvard School of Public Health, l’avocado sarebbe in grado di triplicare
le possibilità di successo per le coppie che si sottopongono alla fecondazione in vitro grazie all’alta percentuale di acidi grassi monoinsaturi contenuti.
Tra le 147 donne sottoposte al trattamento presso il Massachusetts Genera Hospital Fertility Center, coloro che avevano mangiato gli importi più elevati di grassi monoinsaturi, hanno dimostrato avere il 3,4% di possibilità in più di avere un figlio dopo la fecondazione assistita rispetto a chi aveva consumato quantità inferiori.
Al contrario le donne che mangiavano principalmente grassi saturi, come quelli che si trovano nel burro e nelle carni rosse, avevano prodotto meno ovuli adatti al trattamento
Per quanto riguarda i folati, voi farmacisti più di tutti, sapete quanto sia importante nella donna, ma da recenti studi anche nell’uomo. La vitamina B9 o acido folico appunto, è essenziale per la sintesi del DNA e delle proteine ed è importante per la formazione dell’emoglobina, necessaria per i tessuti che vanno incontro a processi di proliferazione e differenziazione, come i tessuti embrionali.
Esiste infine un quadro psicologico da tenere in considerazione. Ansia, depressione e problemi nel rapporti di coppia sono variabili quasi sempre presenti?
Vista la grande incidenza e l’estrema delicatezza di questa tematica molti studi hanno cercato di individuare le cause e conseguenze anche sul piano psicologico della diagnosi di infertilità di coppia.
La condizione di infertilità genera spesso un senso di depressione, ansia, sofferenza vuoto, rabbia che possono sfociare in forte stress a causa del pensiero costante della infertilità e la ricerca quasi incontrollata di soluzioni.
Anche il ricorso alle tecniche di procreazione assistita o all’adozione possono causare forte stress, impattando sia a livello di impegno di risorse e di tempo, ma soprattutto a livello fisco ed emotivo.
Allo stesso modo però alcune ricerche hanno dimostrato che una condizione di vita caratterizzata da forti livelli di stress e disagio possono ridurre la fertilità agendo su aspetti biologici e fisici, oltre che sulla frequenza e disponibilità al rapporto sessuale della coppia.
Nello specifico il forte stress agisce sull’attività gonadica della donna, sull’assetto ormonale, trasporto e impianto dell’embrione, mentre negli uomini si notano alterazioni della spermatogenesi.
Possiamo concludere affermando che l’infertilità è un problema della coppia?
Assolutamente concordo con te, l’infertilità è una diagnosi di coppia, non c’è “la colpa” di un elemento singolo, nella maggior parte dei casi è una patologia della coppia e va vissuta e combattuta insieme e soprattutto il cambio dello stile di vita deve essere proposto alla coppia e non solo alla donna, che per abitudine tende più a prendersi cura di sé per ottenere la tanto desiderata gravidanza.
“I figli si fanno in due” dico sempre banalmente forse, ma è per sottolineare l’importanza di
un sostegno sempre costante per entrambi gli elementi della coppia.
Chavarro J.E., R.E.J. (2007). Dietary fatty acid intakes and the risk of ovulatory infertility
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