La pianta di caffè, generalmente utilizzata nella produzione di polveri destinate alla realizzazione della bevanda, è appartenente al genere Coffea Arabica L. pianta orIginaria dell’area del Sudan sud-orientale, dell’Etiopia e del Kenya settentrionale, nelle quali il consumo si stima essere partito attorno al 1400.
Un’altra specie utilizzata è Coffea Canephora, meglio conosciuta a livello commerciale come Coffea Robusta, originaria dell’Africa tropicale tra Guinea e Uganda, oltre alla Coffea Liberica, coltivata prevalentemente in Liberia.
I primi cenni storici del caffè in Europa e si hanno intorno alla fine del 1500, ad opera del botanico Leonard Rauwolf e in Italia con Prospero Alpini nel suo “De Medicina Aegyptiorum”.
La composizione e le caratteristiche organolettiche del caffè sono strettamente legate alla varietà dei chicchi, alla miscelazione delle coltivazioni, alla tecnica di coltivazione che è in grado di influenzare la quantità e la natura delle componenti bioattive.
Tra le oltre 600 sostanze ritenute attive all’interno della bevanda, troviamo la caffeina o 1,3,7 –trimetilxantina.
Il consumo di caffè o bevande contenenti caffeina è generalmente considerato privo di rischi e come caffè tostato può tranquillamente essere considerato un alimento “naturale”, non contenente additivi e con il semplice trattamento termico che subisce, vengono abbattute sostanze indesiderabili come residui di pesticidi e fitofarmaci.
Anche da un punto di vista nutrizionale è una bevanda considerata “salutare”, poiché praticamente priva di acidi grassi saturi, sodio e zuccheri, la presenza di acido nicotinico contribuisce quasi interamente alla copertura del fabbisogno giornaliero di vitamina B3, utile per il funzionamento del metabolismo energetico, e apporta una quantità non rilevante di energia, ossia 4 kcal per porzione.
Diversi studi hanno rivelato che una preziosa sostanza presente nel caffè, l’acido clorogenico, sia in grado di promuovere la regolazione dei livelli di zuccheri nel sangue e di ridurre il rischio di diabete di tipo 2. Il processo di tostatura del caffè comporta la perdita di questo composto, che si trova invece in grandi quantità nel caffè verde.
La caffeina è ben assorbita per via orale e livelli significativi si possono ritrovare nel plasma già dopo 30 minuti dall’assunzione, anche se il picco generalmente si raggiunge dopo 45-90 minuti.
E’ una molecola lipofila e per questo possiede la capacità di passare attraverso la barriera emato-encefalica, di attraversare la placenta e di essere presente nel latte materno (pertanto in gravidanza ed allattamento ne è consigliata una ridotta assunzione giornaliera).
Il contenuto di caffeina nel caffè non è trascurabile ed è piuttosto variabile perché dipende da vari fattori (metodo di preparazione, miscela usata, quantità di caffè utilizzata ecc.); per esempio, in un caffè espresso il contenuto di caffeina va dai 60 ai 120 mg, mentre in un caffè americano si va dai 95-125 mg ed è per questo che, relativamente ad un suo utilizzo finalizzato al miglioramento di una performance sportiva, è più corretto parlare di rapporto tra caffeina e attività sportiva e non di caffè inteso come bevanda.
Nonostante quanto affermato in precedenza, gli effetti della caffeina sulla salute e sulla pratica sportiva sono da sempre dibattuti nell’ambito della comunità scientifica.
Dopo un’ iniziale demonizzazione, si sono rivalutati i potenziali benefici derivanti dal consumo di caffeina, in tutte le sue forme.
Si ritiene che gli effetti derivanti dall’assunzione di caffeina siano attribuiti soprattutto dalla capacità antagonista di quest’ultima nei confronti dei recettori per l’adenosina, favorendo quindi il rilascio di adrenalina e noradrenalina.
Queste molecole, chiamate catecolammine, favoriscono l’aumento del metabolismo corporeo, della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa e del numero di atti respiratori, aumentando in questo modo l’ossigenazione del sangue.
Gli studi effettuati riconoscono alla caffeina la capacità di aumentare i fattori lipolitici (acidi grassi liberi e glicerolo), ciò spiega la sua azione sinergica al dimagrimento, soprattutto se unita ad attività aerobiche
E’ una sostanza farmacologicamente attiva ad azione psicotropa, può quindi essere utile sia nella vita quotidiana che in funzione di un’attività sportiva, ma la risposta dell’organismo a questa sostanza è parecchio soggettiva, tant’è che non sono rari effetti avversi legati alla sua assunzione, come ad esempio agitazione, irritabilità, tremore, alterazione nella qualità del sonno, disturbi gastrointestinali.
Mentre l’assunzione di 1-3 tazzine di caffè al giorno è in grado di stimolare l’attività mentale, dosi superiori ai 300mg/die (cioè oltre le tre tazzine) possono comportare in alcuni soggetti sintomi vicini all’insonnia e ansia.
Un consumo abituale porta ad un rapido sviluppo della tolleranza agli effetti farmacologici della caffeina, quindi attenzione alle interruzioni di assunzione brusche nei consumatori sopra le 6 tazzine al giorno.
Esiste una provata assuefazione alla caffeina, che porta ad assumere dosi maggiori per ottenere effetti simili ed il periodo di interruzione per determinare una sospensione dall’assuefazione è di 6-8 giorni.
Possibili effetti avversi si possono avere con dosaggi alti di caffeina (>9 mg/kg), perciò è fondamentale, nel caso di un atleta, ponderare assieme a lui il dosaggio e l’eventuale protocollo di integrazione, per limitare il rischio di effetti indesiderati, tenendo conto anche dell’assunzione derivante da cibi e bevande assunte durante la giornata.
La caffeina viene metabolizzata a livello epatico, con una emivita di circa 3-6 ore, ma una quantità variabile tra 0,5% e 3% si può ritrovare comunque nelle urine: è anche per questo motivo che la WADA, l’agenzia internazionale antidoping, ha ritenuto opportuno togliere la caffeina dalla lista delle sostanze proibite, perché risultava difficile determinare se il consumo fosse derivante da un abuso di bevande e alimenti contenenti caffeina o da un’assunzione mirata al miglioramento della performance.
La caffeina di fatto rimane una sostanza stimolante non qualificata come doping, che viene monitorata in alcune gare e alcune associazioni, come il National Collegiate Athletic Association (NCAA), ne limitano il consumo.
La caffeina sembra avere un effetto marcato sulla capacità anaerobica e cardiovascolare relativamente agli sport di endurance, ritardando l’insorgere della fatica e quindi migliorando la performance, anche se l’effetto si manifesta ad alte dosi, ossia sopra i 6mg per kg di peso corporeo.
Fin dagli anni 80, si utilizzavano protocolli con dosaggi di 5-6 mg/kg, anche se ultimamente si è ridotto il dosaggio a 3 mg/kg, che permette di ottenere circa gli stessi risultati con minore probabilità di incorrere in effetti collaterali.
L’azione antifatica che effettua è dovuta alla stimolazione del sistema nervoso, mentre l’azione energetica è attribuibile alla mobilitazione degli acidi grassi liberi. E’ provato scientificamente come l’uso della caffeina permette di compiere sforzi più prolungati, con relativo risparmio del glicogeno muscolare.
Nel ciclismo, nella mountain bike così come nel trail running, l’utilizzo della caffeina, soprattutto sotto forma di carbo-gel “caffeinati”, può risultare utile ad esempio durante una discesa, dove la componente relativa all’attenzione ed alla concentrazione risulta fondamentale.
Negli sport di squadra o “stop and go”, la caffeina acquisisce importanza in termini di ritardo nella percezione della fatica e nel migliorare la componente di attenzione e precisione (vedi pallacanestro o tennis).
Ottimi risultati si sono quindi osservati anche negli sport di precisione come tiro a segno, tiro con l’arco, golf, nei quali gli effetti positivi sulla concentrazione risultano preponderanti (dosaggio 3 mg/kg, sconsigliati dosaggi superiori).
Altro aspetto di primaria importanza sembra riguardare la capacità della caffeina stessa di incrementare il numero e l’intensità di sprint ripetuti (repeated sprint ability: RSA).
Pochi effetti risulta infine avere su sport di brevissima durata, anche inferiori al minuto, come ad esempio i 100 metri o i 200 metri piani, nei quali si ricerca la massima potenza.
In questi sport, di durata compresa tra i 10-15 secondi fino a circa 3 minuti, non si ottengono gli stessi benefici a causa della riduzione del pH (per aumentata produzione di acido lattico) che sembra interferire con il meccanismo d’azione della caffeina.
La caffeina assunta preventivamente sembra infatti incrementare la produzione stessa di lattato e quindi predisporre all’insorgenza di crampi muscolari, il che può facilmente avvenire in caso di sovradosaggio.
L’effetto ergogenico della caffeina sembra poi essere potenziato dalla contemporanea assunzione di una quota di carboidrati, ennesimo fattore che sembra contribuire al ritardo nella percezione della fatica.
Alcuni studi sembrano suggerire un aumento della performance se la caffeina è assunta insieme a bicarbonato di sodio e creatina, ma queste evidenze necessitano di ulteriori conferme.
Non emergono da letteratura differenze negli effetti della caffeina in relazione al sesso degli atleti, mentre sembra influire il livello di allenamento, poiché pare che si registrino effetti positivi soprattutto su atleti maggiormente allenati.
Le modalità di assunzione da preferire sono la caffeina in polvere, poiché sono stati verificati effetti superiori rispetto all’assunzione con cibi e bevande, probabilmente perché sostanze presenti nelle fonti alimentari possono interferire con il metabolismo.
Le ultime evidenze propongono gomme da masticare contenenti caffeina, con effetti potenziati vista la notevole velocità di assorbimento dovuta alla modalità di assunzione.
In commercio sono comunque facilmente reperibili formulazioni in compresse, anche se in questo caso risulta più complessa la personalizzazione e la compliance riguardo la dose da assumere per l’atleta.
Attenzione anche alle interazioni che possono verificarsi con farmaci di uso comune come levotiroxina e anticoncezionali orali: nel primo caso, nei pazienti affetti da ipotiroidismo, se il farmaco viene assunto contestualmente anche ad una sola tazza di caffè, l’assorbimento della levotiroxina può essere ridotta fino al 57%, mentre nel secondo caso, la contemporanea assunzione di contraccettivi orali può aumentare i livelli sierici di caffeina.
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