In questo momento di forte incertezza per la farmacia, la maggior parte dell’attenzione si concentra sulle diverse chiavi interpretative degli ultimi decreti legge che riguardano la categoria. Oggi proveremo a sorvolare su questi temi, proponendo ai nostri lettori un esempio di positività. Vi parleremo Greta, una giovane collega di Bergamo, intervistata da Francesco, anch’egli giovane farmacista. L’entusiasmo che emerge da questa lettura vale a compensare i mille problemi che la categoria sta attraversando e offre una chiave di lettura che potremmo definire in molti modi (3.0, millennial, social, moderna) ma che a noi piace chiamare, semplicemente, positiva.
Quando mi sono avvicinato per proporle l’intervista, sono stato accolto da un simpatico stupore e mi è stato chiesto più volte se fossi proprio sicuro di realizzare un pezzo sulla sua vita professionale. Greta è una farmacista come noi, sta spesso a banco, ma, e qui viene il bello, non ha nessun contratto che la leghi alla farmacia.
Ora, potrete pensare che sarà una lavoratrice occasionale, o una turnista che viene chiamata per coprire ferie, permessi o maternità. No, niente di tutto questo. Greta è una dottoressa che lavora regolarmente con la propria partita Iva. Ora però lasciamo che sia Greta a guidarci meglio nella sua curiosa carriera.
Ciao Greta, grazie per avermi dato la possibilità di intervistarti. Quanti anni hai?
Ciao Francesco, ho 35 anni. Grazie a te per l’intervista, leggo sempre Nuovo Collegamento e non pensavo di finirci sopra (ride!).
Qual è il tuo percorso formativo? Devi avere molta esperienza per svolgere il tuo lavoro.
Ho studiato a Parma e in sei anni ho conseguito la laurea in farmacia. Intanto frequentavo una farmacia Bergamo, dove ho prestato servizio per i sei mesi di tirocinio. Ancora prima di abilitarmi avevo già trovato regolare impiego, in quel periodo c’era molta richiesta nella mia città natale, Bergamo, e ho continuato anche dopo l’abilitazione conseguita.
Sono rimasta in farmacia per due anni e mezzo. Avevo già un contratto a tempo indeterminato, ma anzichè essere felice per questo, sentivo che iniziavo a volere altro per me.
Quali mansioni ricoprivi?
Mi occupavo del reparto cosmetico e quando non ero li, della tariffazione. Non riuscivo però a sentirmi appagata.
E così hai iniziato a fare alcuni colloqui?
Niente affatto! Ho deciso di licenziarmi dalla realtà in cui lavoravo. Ho maturato la consapevolezza che la routine di tutti i giorni non faceva per me e cercavo altro. Avevo voglia di cambiare e rendere più dinamico il mio lavoro. Ogni farmacia ha meccanismi diversi e avevo voglia di vedere quante più realtà possibili per cercare di non annoiarmi mai.
Com’è iniziata la tua seconda esperienza?
Avevo voglia di fare molta galenica. All’Università avevo fatto una tesi sperimentale in analisi farmaceutica e da allora non ero più entrata in un laboratorio. Mi sono proposta a una farmacia che
voleva fare del proprio laboratorio un’arma distintiva e crescere attraverso questo. E’ stato un incontro ideale per me. Dopo poco tempo abbiamo visto ottimi risultati, l’idea si era rivelata vincente e da lì abbiamo iniziato a proporre il test sulle intolleranze alimentari riscuotendo ampi consensi. Sentivo di essere nel posto giusto al momento giusto. Nasce da quel momento in me l’idea e la volontà di specializzarsi sempre di più e da lì a poco lascerò il mio secondo contratto a tempo indeterminato.
Ascoltandoti non immaginavo un epilogo così rapido. Non era ancora abbastanza per te?
Ormai in me era scattato un meccanismo nuovo, diverso. Decisi di iscrivermi al corso di omotossicologia, un percorso di nove week end molto affascinante in grado di darmi fin da subito input positivi. Il mio approccio al lavoro cambia e mi avvicino alla scuola di medicina funzionale, che ancora oggi seguo con passione. Capisco definitivamente che non era più disposta a fare tutti i giorni la stessa strada che mi portava da casa in farmacia e viceversa la sera. Apro la mia partita IVA e inizio a prestare consulenza come farmacista in farmacia.
Fammi capire bene, ogni giorno entri in una farmacia diversa e ti metti dietro il banco a fianco di colleghe sempre nuove?
Più o meno è così. In alcune farmacie ho uno spazio dedicato e ricevo i pazienti su appuntamento. Con loro ho un colloquio conoscitivo e cerco di dare una risposta in chiave olistica ai sintomi che mi presentano, cercando di programmare un percorso che possa guidarli verso una vera e propria cura e non verso la soppressione del sintomo fine a sé stessa.
In altre farmacie invece mi capita di svolgere compiti più classici, come la presentazione a banco della ricetta o il consiglio su una crema dermocosmetica. Ho notato che il cliente ti vede per la prima volta appare incuriosito ed è spesso disposto a ricevere un consiglio diverso dalla sola dispensazione del farmaco allopatico.
Ti sei chiesta il perché di questo?
Indubbiamente viene riconosciuta la presenza del farmacista dietro il banco unitamente alla sua qualità professionale. Ma questo non basta più al cliente e non deve bastare più neanche al farmacista. E’ qui che si gioca la partita.
Oggi il cliente si aspetta di interloquire con un tuttologo, non gli bastano più le nostre competenze di base.
Solo chi saprà ascoltare i nuovi bisogni e si metterà in gioco avrà la possibilità di andare avanti.
Se dovessi pesare i pro e i contro del tuo lavoro da che parte penderebbe la bilancia?
Sicuramente dai pro. Intanto il lavoro non è mai ripetitivo e sempre diverso. Nel farlo ritengo di apportare un plus alla farmacia che mi accoglie. Il mio intervento viene vissuto come un servizio al cittadino e questo lo si percepisce. Tutti hanno la netta sensazione che sei li per loro e, talvolta, questo basta prima ancora di somministrare un rimedio. Inoltre ho la possibilità di confrontarmi con tante colleghe. Ovunque vada, mi sento sempre ben accolta. In loro riscontro tanta curiosità, mai invidia. L’unico contro che rilevo è la non continuità nel riuscire a seguire il paziente in tutte le fasi della terapia una volta impostata.
Oggi ti senti finalmente appagata o hai qualche progetto in cantiere?
Bisogna sempre fare progetti! Le specializzazioni che sto acquisendo potrebbero portarmi all’apertura di uno studio personale o, magari, integrarmi in una realtà già esistente. Ma è un rischio imprenditoriale che valuterò di affrontare solo dopo la conclusione del master in naturopatia che sto frequentando. Piuttosto mi sento molto utile in farmacia, stimolando i colleghi a rimettersi a studiare e a non accontentarsi mai del loro sapere.
Si stanno diffondendo sempre più santoni del marketing che vorrebbero cambiare il nostro modo di lavorare, indirizzandoci verso una bottega più commerciale. Cosa ne pensi?
Credo che la battaglia dello sconto sia persa in partenza. Bisogna differenziarsi dalle catene e l’unico modo che abbiamo è acquisire competenze. Sono pochissimi i titolari che formano i dipendenti e pochissimi sono i collaboratori che, al di là dell’orario di lavoro, sono disposti a seguire corsi o seminari. Il farmacista è un po’ culone! (sedentario, ndr). Anche il cross selling è una tecnica che non porta molto lontano. Solo se consideriamo l’uomo nella sua interezza, sapremo come accompagnare correttamente un sintomo o come aiutarlo per prevenirlo. Non possiamo basarci sull’abbinamento antibiotico fermento lattico come segnale di innovazione.
Mi sento di condividere il tuo pensiero. Grazie per la tua collaborazione.
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